Da circa due mesi tengo dei laboratori su vari temi nelle scuole pubbliche della provincia di Varese. Alla fine degli incontri, io e la mia collega, chiediamo di scrivere delle domande in forma anonima a cui risponderemo la volta dopo. Sono sempre molto curiosa di leggerle… le loro domande mi fanno riflettere molto.
Eccone alcune:
<Quanti anni avete? Avete mai fatto sesso?>
<Avete mai baciato qualcuno del vostro stesso sesso?>
<Avete mai avuto esperienze particolari?>
<Come faccio a parlare con mio padre? Ho molta paura di lui>
<Perché uno dovrebbe essere gay?>
Ed ecco alcune riflessioni:
La prima la faccio ad alta voce condividendola con la mia collega che ha più esperienza di me.
<Ma perché vogliono sapere tutte ste cose nostre?> Le chiedo.
<Perché nessun adulto si racconta a loro> mi risponde.
Gli riempiamo la testa di soluzioni, consigli, nozioni, regole. Loro vogliono solo sapere di noi. Vogliono sapere se anche noi abbiamo avuto paura, abbiamo sentito male, ci siamo sentiti stupidì, ci siamo vergognati, ci siamo innamorati. Vogliamo sapere tutto dei nostri figli o studenti. Ma loro quanto sanno di noi?
La seconda riflessione è che nonostante vada a parlare di violenza nelle scuole da professionista, quando la leggo, quando mi arriva così… mi sembra di non aver alcun strumento per farmene qualcosa.
<Come faccio a parlare a mio padre? Ho paura di lui>
Rimango così, sospesa.
La terza riflessione che faccio è su quanto è importante il lavoro che faccio, nel luogo in cui lo faccio.
Chiudo con un ultimo biglietto, il mio preferito per ora.
<Ma siete delle specie di psicologhe o siete solo molto empatiche?>
Ambra