Metti un giovedì qualsiasi di novembre. Stai seduta alla scrivania, la faccia dentro il PC. Arriva il corriere sudamericano con i pacchi delle bombolette spray. Indugia mentre scarica gli scatoloni. Non ha fretta.
“Io vi conosco”, dice. “Mi avete aiutato qualche anno fa. Sono stato da voi per un po’ di tempo, mi avete aiutato ad avere i documenti in regola e a trovare un lavoro. Lavoravo in un ristorante, mi piaceva. Poi il ristorante ha chiuso e ora lavoro da solo. Non divento ricco, ma ho quello che mi serve per vivere e sono contento. Senza di voi non so se sarebbe andata bene. Vi voglio ringraziare perché avete fatto cose importanti per me e non so che cosa sarebbe successo senza di voi. Salutatemi Emy e Laura.”
Josè, Salvador.
Non lo avevo mai visto. Era stato seguito dalle colleghe di Milano. Ieri sera mia figlia intervistandomi per un compito di scuola mi ha chiesto che cosa mi piaceva del mio lavoro.
Questo mi piace, le storie come quella di Josè. Sapere che abbiamo dato un’opportunità a delle persone, che quell’opportunità ha cambiato in meglio la vita di qualcuno, che l’ha fatta svoltare. Che questo lavoro ha un senso.
Un senso di futuro e possibilità.